INTERVISTA A LUDOVICA GIOSCIA DI LORENZO MADARO
In occasione della pubblicazione di Cosmic flow, il suo ultimo libro d’artista, realizzato a quattro mani con Marina Dacci, abbiamo incontrato Ludovica Gioscia per parlarci degli ultimi suoi progetti e di quelli in cantiere.
Cosmic flow non è un semplice libro, ma un progetto editoriale d’artista realizzato in stretta sinergia con una curatrice, l’ottima Marina Dacci. Raccontami di come è nato il progetto.
Nel 2017 Marina mi invitò a realizzare un’installazione presso il negozio di Max Mara a Londra. Era la prima volta che lavoravo con lei ed è subito scattata una scintilla. C’è stata una grande sinergia che si è tradotta in tanta energia. È stato fatto tanto in pochi giorni, incluso un libro d’artista in cui venivano raccolte le storie degli oggetti che popolano le mensole del mio studio. Esperimenti, fallimenti, lavori in progresso, lavori imballati, lavori rotti; anime perse che cercano una nuova casa in altre forme, o semplicemente lavori che stanno attraversando una crisi d’identità. Da questa esperienza è nato un forte legame d’intesa e sensibilità artistica e un’amicizia per me importante.
Nell’estate del 2019 volevo creare un libro che accogliesse i miei ultimi anni di ricerca e ho subito pensato a Marina. Le avevo chiesto di contribuire con un testo e lei mi fece la controproposta di realizzare un libro d’artista a quattro mani che culminò in Cosmic Flow. Abbiamo pensato di suddividere la pubblicazione in capitoli, ciascuno articolando un aspetto del mio lavoro. Sono nati sette capitoli a cui Marina ha dato titoli meravigliosi come: Mettere al mondo una nuova forma di mistero, Paesaggi telepatici e scambi energetici, Ingarbugliare e sgarbugliare frames. Ogni capitolo è punteggiato da un testo di Marina stampato su carta da lucido e non rilegato che si va ad inserire tra le pagine in maniera delicata e leggera, come se fosse una foglia tra le pagine di un diario. È possibile leggere il materiale visivo nella sua interezza spostando gli interventi, o concentrarsi sui testi.
Il formato si ispira agli album delle figurine della Panini, con cui sono cresciuta e come molti ne ero ossessionata. La prima pubblicazione di cui mi sono follemente innamorata è stato l’album di Creamy del 1985, seguito pochi anni dopo da quello dedicato a Naj-Oleari e, naturalmente, l’iconico album di Fiorucci Stickers. Cosmic Flow visivamente è uno specchio del mio lavoro – un bombardamento visivo di stratificazioni di immagini di lavori, documentazioni di installazioni, disegni scansionati dal mio diario dei sogni, sketchbooks, schermate del mio sito online risalente al 2005, schizzi per progetti mai realizzati, diari adolescenziali, textures. Tutte le immagini sono trattate come se fossero stickers – alcune lo sono – che si depositano su sfondi di patterns ripresi dalle mie carte da parati. La pubblicazione abbraccia il materiale in maniera non-lineare, emulando le dinamiche del mio modus operandi che non segue una temporalità prestabilita. È stata data grande importanza alle carte scelte, tutte riciclate. La copertina è un nuovo prodotto di G. F Smith che utilizza bicchieri da asporto per il caffe che altrimenti finirebbero nelle discariche. Lo stesso vale per gli inchiostri utilizzati per la stampa, anch’essi tutti ‘verdi’. Cosmic Flow utilizza diversi processi di stampa, per conferire quella materialità e stratificazione di processi di stampa manuali caratteristici del mio lavoro. La copertina è serigrafata, mentre l’interno è stampato a laser con accenti in risografia e stickers.
Oggi molti artisti stanno tornando a riflettere attorno alla progettualità editoriale. Negli anni Sessanta e Settanta era una pratica diffusa. Per te è la prima volta?
È la terza. La prima è stato un catalogo che suddivideva il mio lavoro in svariati archivi generati tra il 2004 e il 2011. Il risultato è un libro chiaro ed analitico, in netto contrasto con Cosmic Flow che invece è frutto di quel chaos creativo generativo di tante possibilità e mille interpretazioni. Il secondo, Shapeshifters, è il libro d’artista realizzato con Marina nel 2017. Pubblicazione al confine tra l’archeologia di studio e mappatura fantastica di creazioni in limbo.
Come si inserisce questo libro all’interno della tua pratica artistica? Il confronto serrato tra immagini, segni, scritture, rielaborazioni visive e immaginari aperti penso sia una costante di tutto il tuo percorso e questo nuovo progetto editoriale mi pare che confermi tale attitudine. È così?
Assolutamente. La continua sovrapposizione di materiali, stili e linguaggi è la chiave del mio lavoro. Deriva dall’incontro del mio luogo di origine (Roma) e l’avvento della rivoluzione digitale. Sono nata nel 1977 e il mio primo indirizzo email risale al 1997. Da quel momento in poi si è spostato tutto gradualmente online, in maniera sempre più fitta e intensa. Un’accelerazione di informazioni e immagini sempre più compresse in uno spazio unico in perenne espansione. Il Barocco elettronico, come teorizzato da Norman Klein nel suo libro del 2004 intitolato The Vatican To Vegas – A History Of Special Effects. La stratificazione di stili e linguaggi diversi nel mio lavoro non deriva solo dal Barocco elettronico ma anche dall’esperienza anacronistica di crescere in una città museo a cielo aperto composta da una fitta rete di stili architettonici appartenenti a momenti storici diversi. Aggiungi al mix lo stile visivo degli Anni ’80 molto influenzato da Memphis – di già una centrifuga eclettica di stili passati e nuove visioni – e brands come la Naj-Oleari che promuovevano un abbinamento ridondante di pattern su pattern e hai la ricetta per le mie installazioni. Ho voluto ricreare questo ricco mondo in una versione bidimensionale e sfogliabile.
A cosa stai lavorando ultimamente?
Ho appena chiuso una personale a Baert Gallery a Los Angeles. La mostra è il frutto di una collaborazione con l’adorato gatto Arturo, con cui sono nuovamente in fitta conversazione per altre nuove avventure. Sicuramente alcuni dei risultati faranno parte della nuova iterazione di La Vita Materiale curata da Marina Dacci e che avverrà a Bruxelles a fine anno.
Un’ultima domanda: come vedi l’Italia dell’arte dalla tua attuale postazione?
Fertile, generosa, accogliente, parte dell’Europa. Il mio punto di vista sta cambiando moltissimo da quando la Gran Bretagna è uscita dall’Europa: mi sembra di vivere ciò che accade in Italia da un territorio remoto e piuttosto isolato. Ricominceremo a portare pacchi di pasta (e arte) in valigia.